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  • Immagine del redattoreNiccolò Ratto per W.A.I.F.

DA WALTER TEVIS A NETFLIX: SCACCO MATTO ALLE DISPARITA’

Il recente successo della serie televisiva targata Netflix, La regina degli scacchi, ha portato ancora una volta alla ribalta il tema della disparità tra i sessi, a partire da un mondo criptico e di chiaro predominio maschile, come quello degli scacchi.


Come spesso accade, specie da quando l’intrattenimento si è piegato al sempre più dilagante fenomeno della serialità, è proprio la televisione (o chi per lei fornisce il medesimo servizio) a riesumare capolavori e piccole gemme a lungo nascoste, semplicemente perché ostacolate da un mezzo di fruizione meno immediato come la carta stampata. Dopo il recente caso di Henry James e del suo Giro di vite, adattato nella serie di successo The Haunting of Bly Manor, è ora il turno di un altro grande della letteratura mondiale, la cui carriera è indissolubilmente legata al cinema, Walter Tevis.

A chi questo nome non dovesse dire molto, i titoli di successi cinematografici quali Lo spaccone, L'uomo che cadde sulla Terra e Il colore dei soldi suoneranno certo più familiari. Stiamo infatti parlando di adattamenti cinematografici dei romanzi di un genio assoluto, Tevis appunto, la cui penna ha preferito narrare storie maggiormente intime, d’introspezione si direbbe oggi, dove l’alieno e l’alienazione non sono altro che parte integrante della nostra esistenza. Storie di sofferenza, di pregiudizio, d’isolamento, ma anche di redenzione, mancata o raggiunta che sia. Perché l’autore di Solo il mimo canta al limitare del bosco era specializzato nel raccontare i dolori dell’anima e il dramma del diverso, fosse esso un messia alieno come ne L’uomo che cadde sulla terra, o appunto una giovane donna in lotta contro un establishment a lei avverso. D’altra parte Tevis ben conosceva il trauma dell’abbandono, così come l’eterno ostacolo dell’incomprensione, la tortura fisica e persino lo spettro delle dipendenze, come testimoniato dal suo tormentato vissuto.

Ed è proprio questo il caso de La regina degli scacchi (The Queen’s Gambit), fortunata serie Netflix tratta anch’essa dall’omonimo romanzo di Tevis del 1983, con protagonista una straordinaria Anya Taylor-Joy. Una produzione di altissimo livello, capace come la controparte cartacea di affascinare anche chi non abbia mai giocato a scacchi. Un’opera in grado di sviscerare sena inutili fronzoli la fragilità della protagonista, concentrandosi sul suo processo di crescita. A colpire tuttavia è proprio la grande onestà con cui il personaggio di Beth è delineato. Uno spaccato lucido e non privo d’ombre di una figura femminile forte, intelligente e determinata. Persino oggi, dove la battaglia per i diritti delle donne continua a protrarsi tra mille contraddizioni e gli scacchi sembrano lentamente aprirsi a giocatori di ogni sesso, non possiamo fare a meno di sottolineare come la visione dell’autore sia eccezionalmente moderna, persino rivoluzionaria.

La storia di Beth Harmon, bambina prodigio attanagliata da spettri difficili da scacciare, ha tutte le carte in regole per conquistare il pubblico. Originale, coinvolgente, caratterizzata da una perfetta sintesi tra dramma e umorismo, La regina degli scacchi è una parabola sottile sulla ricerca d’indipendenza, sia essa dal passato, dall’alcool, dagli uomini, o persino da se stessi. Walter Tevis utilizza la scacchiera come metafora della vita, per insegnarci a riflettere sul suo valore e sui rischi che si annidano dentro di noi. Prediligendo una scrittura scorrevole e intuitiva, priva di ogni interiorizzazione, l'autore s’affida alle azioni per traghettare la narrazione da una vicenda all’altra.

A scanso di equivoci, l’opera in questione non s’ispira ad alcuna storia vera, come forse i più speravano. La realtà dei fatti è spesso di gran lunga peggiore di ogni finzione, come ampiamente dimostrato dalle continue e sfiancanti lotte per una completa emancipazione femminile. Figuriamoci poi se, come in questo specifico caso, la donna fosse orfana, costretta a vivere negli anni ‘50 e con un insolito talento per il gioco degli scacchi.

Interrogati sul perché si possano trovare poche giocatrici ad alto livello, molti uomini hanno ipotizzato che le ragioni dovessero essere ricercate nella biologia femminile. Secondo loro infatti le donne non sarebbero state “attrezzate” per un gioco così complesso e soprattutto schematico. D’altro canto lo stesso Garry Kasparov, Grande maestro e campione del mondo dal 1985 al 2000 sosteneva che gli scacchi “non fossero nella natura femminile".

Altri invece hanno cercato d’indagare più a fondo, dando una chiave di lettura più romantica, ma altrettanto priva di fondamenta. Questi individuavano la colpa in una natura più versatile e meno monomaniacale, capace quindi di consentire alle donne lo svolgimento di più attività in contemporanea, a discapito di una scarsa attitudine a focalizzarsi ossessivamente su una sola pratica.

La realtà dei fatti ha invece dimostrato come i motivi fossero figli di un pregiudizio culturale radicato quanto diffuso. Le stesse differenze di ELO (metodo utilizzato dalla FIDE per calcolare la forza relativa di uno scacchista) tra i migliori giocatori uomini e le migliori giocatrici donne sono invero andate via via assottigliando nel corso degli anni, abbattendo così un vecchio pregiudizio, anche se forse non del tutto.

Le testimonianze di Judit Polgar, campionessa di scacchi ritiratasi nel 2014, sembrano infatti indicare che il cammino verso una reale parità dei sessi sia purtroppo ancora lungo.

"Più dimostravo a me stessa di essere brava e guadagnavo posizioni nelle classifiche mondiali, più incontravo uomini che facevano commenti sprezzanti sulle mie capacità e talvolta battute, che pensavano fossero divertenti ma in realtà offensive. (…) C'erano avversari che si rifiutavano di stringermi la mano. C'è stato uno che ha sbattuto la testa sul tabellone dopo aver perso…"





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