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  • Immagine del redattoreNiccolò Ratto per W.A.I.F.

Margaret Atwood e la poesia: riflessioni sul tempo, in un mondo in rapida evoluzione

Prima di diventare una delle scrittrici più importanti e amate in tutto il mondo, Margaret Atwood era una poetessa. Dopo oltre un decennio di pausa dalla metrica, la leggendaria autrice di The Handmaid’s Tale – Il racconto dell’ancella torna alla poesia con Dearly, una sublime e raffinata raccolta su cosa davvero significhi vivere in questi tempi difficili.


Nata a Ottawa nel 1939, Margaret Eleanor Atwood è una figura unica nel suo genere. Vincitrice del Premio Arthur C. Clarke, del Premio Principe delle Asturie per la Letteratura, del prestigioso Booker Prize e del Governor General’s Award, la Atwood è in assoluto una delle scrittrici di narrativa e di fantascienza certamente più premiate. Ad arricchire la prodigiosa carriera, una personalità altrettanto straordinaria e una rinomata posizione da attivista “accidentale”, come lei stessa ama definirsi, sia per quanto concerne l’ambiente, che la tutela e la salvaguardia dei diritti delle donne.


Tuttavia non è propriamente corretto definirla femminista, perché etichettare Margaret Atwood è pressoché impossibile, oltre che limitante. Dice infatti durante un’intervista rilasciata a un’emittente americana a proposito dell’essere femminista:

Dipende da cosa si intende. Che le donne devono guadagnare quanto gli uomini? Allora sì. Ma io non sono cresciuta pensando di essere debole o carente in qualcosa. Non vestivo di rosa, ho letto Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, il manifesto del femminismo, e l’ho trovato interessante. Quando è arrivata la seconda ondata del movimento negli anni ’70 ero già troppo vecchia per farmi influenzare (…)”. Anche in riferimento alle sue opere, è davvero curioso come l’autrice abbia spesso preferito parlare di realismo sociale anziché di femminismo, dimostrando ancora una volta la propria natura rivoluzionaria e anticonformista.


Non a caso negli anni ’90 Margaret Atwood fu aspramente criticata per aver pubblicato su Playboy, vero manifesto dell’oggettizzazione femminile. La sua risposta tuttavia non tardò certo ad arrivare e anche in questo caso diede saggio di un’intelligenza sublime:

Perché mai l’ho fatto? Perché le scrittrici si sono lamentate per anni di non poter pubblicare su Playboy, che all’epoca era una rivista con contributi letterari abbastanza alti, ma tutti scritti da uomini. Quando uno ti chiede di scrivere per Playboy dopo anni che ti lamenti di non poterci scrivere, dici sì o no? Io ho detto sì”.

Dapprima osannata, poi osteggiata dal femminismo più radicale, Margaret Atwood, ha spesso pagato per le proprie scelte non convenzionali, come quando nel 2015 difese pubblicamente Steven Galloway, uno scrittore e docente universitario ingiustamente accusato di aver molestato una studentessa. Un tradimento mai accettato dalle frange più estremiste, come se a nessuno davvero importasse quanto scritto, detto e fatto in tutta la sua vita (in Canada ha persino curato una fiction incentrata sulle disparità di genere e sull’oppressione sociale). D’altro canto in un mondo dove non si ascolta e non si dà alcun peso ai fatti, è normale che una simile personalità sia stata spesso fraintesa.

Oggi, a ottantun anni d’età, Margaret Atwood celebra l’uscita di Dearly, una raccolta di poesie iniziata nell’Agosto del 2017.



“Accumulo poesie … le scrivo sempre ma le metto in un cassetto”, ha detto al programma quotidiano di BBC Radio 4. “Scrivo poesie in corsivo, con penna o matita. (…) A essere sinceri la mia calligrafia è piuttosto brutta. Spesso devo cercare di capire cosa ho scritto su quei pezzi di carta e a volte devo proprio tirare a indovinare. È un po’ come decifrare i geroglifici egiziani.”


Permeata da una profonda nostalgia e da un fatidico senso di morte, la raccolta incarna il processo di superamento del dolore a cui è dovuta andare incontro la stessa autrice in seguito alla scomparsa del compagno Graeme Gibson, avvenuta nel 2019 a distanza di due anni dalla diagnosi di una demenza vascolare.


Dearly è un’opera certamente complessa, in perfetto equilibrio tra una mistica semplificazione delle immagini e una profonda indagine umana. Perché ancora una volta è la natura distruttiva dell’umanità a essere al centro del proprio lavoro. Ecco allora che il mondano e il profondo si fondono in una dolorosa dissonanza cognitiva alla ricerca del bene, ma soprattutto di significati in un mondo che ci appare ormai vuoto, ma purtroppo ricco di sofferenza.



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